domenica 5 aprile 2015

La meglio gioventu' greca...Buona Pasqua


I greci laureati e disoccupati «E ora ridateci la nostra dracma»

Kikilia e Mihailis, 800 euro in due. «Forse non eravamo pronti per l’Europa»

Sottoccupati ad Atene Madre e figlio, entrambi laureati e licenziati. Il padre-marito-separato è senza lavoro e non aiuta. Il nonno manda cibo dalla campagna

ATENE «Taylor Made» è un bar trendy in piazza Santa Irene (Aghias Irinis), una delle zone più alla moda di Atene. Servono cocktail spettacolari, caffè freddi shakerati e cappuccini con disegni di schiuma a formare palme e silhouette sexy. Atmosfera underground chic. Potrebbe essere New York o Londra non fosse per due particolari: gli aranci in fiore e i clienti che, turisti esclusi, sono tutti sottoccupati, indebitati, precari: la meglio gioventù greca, insomma.
Una famiglia danese in vacanza libera un tavolino e si precipitano ad occuparlo tre amici sopra i trent’anni. Uno solo ha il problema di dove mettere il casco. Gli altri l’hanno venduto da un pezzo assieme alla moto. Sono laureati e sottoccupati. Lefteris lavora come taxista 4 notti a settimana. Mihailis dà rare ripetizioni di matematica, chimica e fisica. E’ ingegnere informatico e prima della crisi lavorava in una multinazionale di telefonia. Ora disegna siti web per gli amici e sabato fa il parcheggiatore notturno.
Dimitri, medico ortopedico, è il più intraprendente: per tre sere è cameriere, quattro mattine commesso e tre pomeriggi volontario in un ambulatorio sociale. Ieri festeggiava la decisione del governo Tsipras di assumere 4.500 sanitari. L’Eurogruppo inorridisce pensando all’aumento del deficit, ma Dimitri incrocia le dita: «Magari mi prendono».
«Qui il 90% dei clienti ha debiti — dice Lefteris, il chimicotassista —. Uno è in ritardo con la bolletta della luce, l’altro non paga l’affitto, l’altro ha rateizzato le tasse». «Chi serve a questi tavoli guadagna bene, grazie alle mance dei turisti, almeno 20 euro al giorno — sostiene il dottor Dimitri, cameriere a ore —. I greci al massimo si permettono un caffè, giusto per guardare le ragazze una mezz’oretta».
«Di lavori qualificati non ce n’è. Tutti gli altri, nei negozi, negli alberghi, nei ristoranti pagano dai 400 ai 700 euro al mese. Cinque anni fa era il doppio. Siamo diventati come i cinesi, ma ugualmente siamo disoccupati». E’ Mihailis, l’informatico, che parla. «Per noi sarebbe logico emigrare».
Per capire perché non l’ha fatto, bisogna andare in periferia a conoscere mamma Kikilia. Lei è professoressa di lingue, da tre anni disoccupata perché la scuola ha chiuso. A 50 anni è difficile reinventarsi. Lei ora traduce tesi, produce creme di bellezza e prosciutti, fa la commessa, la guida turistica e qualsiasi altra cosa possa far raggranellare qualche soldo.
Tra Kikilia e Mihailis (nella foto con i volti nascosti, come i loro veri nomi) portano a casa 800, mille euro. Rigorosamente in nero, come almeno un quarto del Pil nazionale. Ma non sempre basta. Con il 27 per cento di disoccupazione e un’economia immobile, molti greci cominciano a guardare l’euro come una zavorra.
L’orgoglio della conquista di qualche anno fa si incrina ogni volta che si confrontano i prezzi dei supermercati internazionali con quelli delle bancarelle abusive. I prodotti con certificato europeo hanno prezzi inarrivabili per stipendi da 500 euro al mese. Sulle bancarelle, invece, appaiono arance a 40 centesimi al chilo, formaggi a 6 euro, carne a 7-8 euro.
Un souvlaki pita (l’equivalente greco del «Royal with cheese» di Pulp Fiction) costa 1,80, cipolle, salsine e patate comprese. Ciò che si produce all’interno è abbordabile, ciò che si importa lusso per pochi.
I taxi cominciano la corsa a 1,20 e, in genere, in centro si rimane sotto i 5 euro. Più che in Europa sembra di essere a Tunisi o a Casablanca. Qui la parola Grexit (uscita della Grecia dall’euro) non fa più paura perché questa Atene è di fatto già fuori dall’economia europea.
«Forse non eravamo pronti per l’Ue — dice Kikilia —, forse ha ragione chi pensa che la Germania si è approfittata di noi comprandoci pezzo a pezzo corrompendo i nostri politici: autostrade, telefonini, aeroporti sono diventati tutti tedeschi. Persino i supermercati low cost. Se l’Unione europea non ci vuole, che ci lasci andare».
Due anni fa pochi avrebbe parlato così, ma ora il rischio Grexit è digerito. I risparmi non sono più in banca, ma sotto il materasso in attesa di speculare un po’ sull’eventuale iper inflazione da dracma. Chi ha debiti conta che, fallendo lo Stato, si riparta da zero nazionalizzando le banche e cancellando i mutui residui.
Affascina la magia di poter stampare moneta. Questi anni hanno abituato a vivere poveramente in una dimensione pre moderna dove il baratto ha sostituito la globalizzazione e la solidarietà dei vicini l’assistenza sociale. «Aveva ragione l’ultimo nostro Nobel, Odisseas Elitis — dice Kikilia —. Cos’è in fondo la Grecia? Un ulivo, una vite, una nave. Bastano questi tre elementi per ricostruirla da zero. Possiamo farcela».
La meglio gioventù Seduti ai tavolini del centro, ma possono permettersi solo il caffè per guardare le ragazze

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