da http://www.huffingtonpost.it/giuseppe-provenzano/grecia-elezioni-acropoli-atene_b_6515964.html?utm_hp_ref=italy
Domenica si
vota in
Grecia. E chi
pensa da più di un po' che la Grecia sia la priorità
politica,
anche per l'Italia, sa pure che l'ultimo dei problemi è andare "alla ricerca dello Tspiras italiano". "Vogliono
andare a scuola dai greci", hanno ironizzato molti. Be', andare a scuola fa bene dappertutto - la scuola di
Atene,
poi... Bisognava andare, organizzarsi una brigata, una di quelle delle
belle sere, gli amici con cui condivi i pensieri che cambiano e che
durano, e le risate - una brigata kalispera, più che
kalimera.
La
Grecia
non smette di fabbricare miti. E come sempre la loro bellezza è nelle
varianti, nell'infinita possibilità di smontarli e rimontarli, fonderli
ai pezzi di verità e di vita, alle voci e alle facce delle persone che
incontri, e i luoghi, le distanze, le prossimità. Così, il mito delle
elezioni
greche. E quando il proprietario dell'appartamento dove dormiremo ci
viene a raccattare a tarda notte all'aeroporto, e si comincia a parlare
di
politica, ecco la variante inaspettata. Parla con grande consapevolezza di
economia, di un'altra Europa, dell'euro e dell'impossibilità ora di tornare
alla
dracma, delle colpe dei governanti e dell'ottusità della Troika, degli
interessi "predatori" del Nord e dei paesi del Sud alla deriva...
Insomma, vota Tsipras? Macché, "quei ragazzi di Alba Dorata... Sì, qualcuno di loro che esagera, ma il
Governo è peggio. Li ha messi in galera senza motivo, dopo che aveva provato a trafficarci in Parlamento.
Syriza
ha un bel programma, ma qui ci sono troppi immigrati. Io non sono
razzista, solo che prima i greci. E poi sono sempre stato di destra, ho
sempre votato Nea Dimokratia, ora voto quei ragazzi là".
Dall'ampio
terrazzo al mattino si vedono i tetti bianchi e le antenne paraboliche
di Atene, persino un costone dell'Acropoli. È in un bel
palazzo liberty, si direbbe abitato dall'alta borghesia. Quando scendi al piano terra, è una sezione del Kke.
Il vecchio partito comunista greco è dato tra i possibili alleati di Syriza in un probabile governo di coalizione.
Ci accolgono cinque signori. È un museo, ci offrono da bere intorno a
un tavolo, farebbero volentieri una riunione con noi. E in che lingua si
parla? Tedesco, ci propone una di loro. Ma come? Sì, tedesco. E ci
dicono che Tsipras è "un'opportunista"... Loro non vi si alleeranno
mai. Voi siete duri e puri? Sì, dicono, in italiano, "duri e puri". Si
ride, si saluta. "Al lavoro e alla lotta". Volevamo buttarci in mezzo
alla politica greca, e siamo partiti dagli estremi - uno sopra l'
altro, nella stessa palazzina liberty. È la democrazia, caro mio. L'hanno inventata loro, e ci giocano un po' come gli pare.
L'Acropoli
è inondata di luce, una bella coppia di nordici si arrampica tra i
mendicanti e lo stupore. Sotto, se è la prima volta che guardi Atene da
lì, è il bianco di cento Siracuse, sembra che tutte le città meridionali
siano venute a convegno, con tutte le loro bellezze e le loro
bruttezze; e tutti i porti giù al Pireo, e il sole rapace anche a
gennaio, e il mare senza onde... Non si può che cominciare a scendere.
Nel traffico, nei mercati, e da una parte all'altra con la famosa
metropolitana - è bellissima, e pulitissima: due giorni prima delle
elezioni passate il governo aveva "informato" centinaia di persone, che
comunque non smettono di lustrarla per bene.
Il sistema
dell'informazione - molto manipolato, lamentano i più - sta polarizzando
il voto tra Syriza e Nea Dimokratia. E si vede. Per esempio,
tutti
i tassisti ci dicono che sono per Tsipras, tutti i ristoratori per
Samaras e la piccola larga intesa - del fu grande Pasok non si parla
molto né si vuole parlare, e loro non si fanno vedere in giro:
magari è una strategia, chissà. Lo smembramento del partito si è
concluso con la recente scissione di
Giorgio Papandreou,
l'erede dei fondatori, che con il suo nuovo partito Kinima, fondato a
sole tre settimane dal voto si propone l'obiettivo, forse tardivo, di
rappresentare il "vero Pasok" dopo la deriva di
Venizelos,
il suo carnefice. Papandreou è diventato il capro espiatorio della
crisi, un nome quasi impronunciabile. I greci sembrano rimproverargli
non solo di aver portato il Fmi, ma persino di essersi fatto fregare dai
suoi, peggiori di lui, nel passaggio drammatico del referendum sul
memorandum. Nessuno sa se supererà la soglia del 3% per entrare in
Parlamento e potrà giocarsi una nuova partita politica. Se rimarrà
sotto, sarà il compimento della sua parabola politica e umana, che se
non è degna di una tragedia antica lo è sicuramente di una storia onesta
da riscrivere e raccontare.
Buona parte del suo elettorato (aveva avuto quasi il 44% nel 2009, che
pure è un'era fa) è passato in massa a Syriza, che ne ha saputo attirare anche pezzi di élite. Lo stesso
Yanis Varoufakis, il guru economico di Tsipras,
era stato consigliere di Papandreou. Sue sono le proposte sulla
ristrutturazione del debito, suo è il compito di parlare ai mercati e
all'Europa e di far da ponte con gli
Usa.
A lui si guarda da fuori, e lui guarda fuori. Conosce la politica
italiana - come tutti qui, in verità. Segue persino le vicende interne
del Pd. Mi dà del "gufo" e se la ride. "Dopo mi racconti un po'", ora
deve salire sul palco e prendere la parola. In un venerdì pomeriggio ha
riempito l'auditorium della musica, il Megaro Moussikis, per
un'iniziativa che ha creato qualche malumore pure tra i suoi: quel posto
è un carrozzone tenuto in piedi con soldi pubblici e frequentato
dalle
peggiori parrocchie dell'oligarchia. Però c'è il palco e c'è la folla:
gli economisti, si sa, triste segno dei tempi, sono le nuove rock star.
Lui, della rock star, non ha solo la giacca di pelle, ma anche il gusto
della provocazione.
Ce lo spiega dopo un venditore di souvenir.
Alfonso prende un Socrate di gesso e non si trattiene: "chi sono i
filosofi, oggi? Gli economisti?". L'uomo si schermisce,
racconta allora che Varoufakis, l'altra sera, ad un dibattito
televisivo, avrebbe detto che, se vince Syriza, sarà "blood and sand".
Sangue e arena - ma davvero aveva in mente quel film degli anni Venti
con Rodolfo Valentino? "Tsipras avrà la maggioranza - dice - i greci
amano credere ai sogni, ma dove li prenderà i soldi?". Lui, s'intende,
voterà per i partiti di governo. "La situazione è difficile, e non può
cambiare all'improvviso. Altrimenti, sarà blood and sand, capisci? Per
la Grecia è qualcosa di terribile... Abbiamo fatto tanti sacrifici, la
situazione può migliorare solo poco a poco, passo dopo passo".
Solo che il poco ora non basta a troppi e, passo dopo passo,
si affollano le file alle farmacie "sociali" organizzate da Syriza, alle mense dei poveri di vari partiti e parrocchie. Di fronte al bellissimo Museo archeologico nazionale c'è un supermercato, entro per vedere
i banchi dei prodotti scaduti,
di cui avevo sentito parlare. Dietro le casse è un grande cesta, dove
chi può permetterselo, o magari anche no, lascia un po' della sua spesa
in una busta "sospesa" - un caffè sospeso, dicono a Napoli, e qui è
pane, olio, frutta, persino un po' di carne e di verdura. La Grecia è il
nostro Sud, lo abbiamo detto molte volte. Si somigliano come due
meravigliosi crateri crepati negli stessi punti. E c'è quell'elemento
umano, che nessun memorandum potrà cancellare, che risalta nello
smantellamento
dello Stato. Lo Stato, che era certo un apparato burocratico deformato
dalle
clientele di troppe stagioni, ma erano anche i servizi che non ci sono
più, la sanità al collasso, la sicurezza. Si sono diradati i cani
randagi per le
strade,
ora piene di agenti privati che diffondono una sensazione intima di
insicurezza. Ma poi, blood and sand, che voleva dire? Non è già
successo, qui? Qui c'è una gran voglia di tornare alla normalità. Il
centro svuotato dalla crisi si riempie di locali molto chic. Sono gli
unici esercizi commerciali che fanno soldi, di questi tempi. Come in una
qualsiasi città
del Sud.
In uno di questi si bevono ottimi drink, uno si chiama blood and sand,
un intruglio allo Cherry niente affatto male. Ecco, lo vedi? Non c'è da
preoccuparsi.
Vogliono tornare alla normalità, le ragazze e i
ragazzi che incontri, quelli che non sono emigrati altrove, e sono
ancora tanti. Molti votano Syriza, e sono universitari, professionisti,
piccoli imprenditori. Non vogliono il socialismo, vogliono un
cambiamento, che sia ragionevole, normale. Perché non è normale
quello che gli è stato fatto, la disoccupazione al 50% (lo stesso
livello della Campania), la povertà che insidia uno su tre. Non è
normale che i più fortunati, quelli che hanno ancora un lavoro, tra
affitto e spese, devono campare con cento, duecento euro al mese. C'è
molto disincanto. Sanno che nel
programma di Salonicco
(dell'autunno scorso) ci sono promesse all'ingrosso, che non saranno
mantenute. E si mettono a ridere se gli dici che le elezioni greche
possono cambiare l'Europa. Si sono sentiti abbandonati, in questi anni. E
gli fa rabbia.
Sì, c'è un derby, come si direbbe in Italia (dove
ormai senza metafore calcistiche è impossibile parlare di politica),
tra la "paura" rappresentata da Samaras e la "rabbia" rappresentata da
Tsipras. La paura di essere buttati fuori dall'Europa, delle reazioni
dei mercati. La rabbia, invece, è mitigata da uno scetticismo di fondo
che spinge a ragionare:
"Abbiamo provato con tutti, è stato un
disastro. Ora proviamo con lui. Non cambierà tutto, ma almeno un po'. E
comunque, si vedrà". La speranza, quella che accende il tifo
straniero, in Grecia deve ancora venire. E questo è il compito più
difficile per Tsipras, e lui lo sa. Sa che la reazione alla
disillusione, se alle sue parole esose non seguiranno dei fatti, può
essere esiziale. Sangue e arena, ma per davvero.
Alba Dorata, azzoppata dai processi,
è ancora un pericolo, al di là delle percentuali di queste elezioni. Ma
il pericolo maggiore è la diserzione, l'ammutinamento. C'è una
stanchezza profonda trai greci. L'aria elettorale nasconde un po', e
riaccendo l'orgoglio di un popolo che è riuscito a tenersi stretta la
democrazia, dopo una lunga "sospensione".
Al quartier generale di Kinima (il movimento di Papandreou), spiegano perché il
programma di Salonicco
sia irrealizzabile. E magari hanno pure ragione. Ma hanno capito che
continuare così è ancora meno possibile. Se superassero il 3% e
Tspiras
non avesse la maggioranza assoluta, potrebbero essere un alleato
persino comodo: l'alibi di fronte ai greci per compromessi che abbassino
le pretese sul programma elettorale.
Ma, per le strade, Tsipras
non è il suo programma, è un'occasione politica. Non una scelta
ideologica, ma una scelta nazionale, per riaffermare anche una dignità
di fronte all'Europa, e sperare che questa la smetta di scaricare su di
loro una crisi che riguarda tutti. Se gli dici però che c'è una
grande aspettativa, in Italia e altrove, per la loro scelta, quasi non
ci credono. "Siamo un paese così piccolo... siete voi che dovete
cambiare, spetta a voi aiutare noi e mettere in discussione le cose che
davvero non si possono sopportare". Ed è così che voteranno questo
giovane leader che è soprattutto un volto nuovo, che è sceso in piazza
al loro fianco, e non ha cercato di cambiarli ma si è fatto cambiare più
di un po'. Basta leggere il bel libro-intervista di Teodoro Andreadis
Synghellakis,
Alexis Tsipras. La mia Sinistra,
uscito in questi giorni per Bordeaux edizioni. Ora è a pieno titolo un
leader di governo. E i greci lo voteranno senza i facili entusiasmi,
senza i velleitarismi, senza l'allegra baldanza con cui li si guarda da
fuori, che certo è sempre meglio del cinismo miope di chi non ha speso
una parola per loro. Altro che "mamma li greci"!
C'è una grande saggezza politica, nella maggior parte delle persone che incontri. E bisogna dirselo, a leggere certi giornali italiani: c'è solo una razza peggiore di quelli che
vogliono spiegare agli italiani di fare come i greci, quelli che vogliono spiegare ai greci cosa fare, come votare.
A farmi da un po' da guida politica è stato Angelo, un
italiano che vive in Grecia da trent'anni, ha un
blog pieno di notizie,
Lettera da Atene.
Ha sposato Cleri, un'esule dalla dittatura che poi è stata tra i
fondatori del Pasok, e ha molte storie da raccontare. Nelle settimane
del memorandum,
erano piazza Syntagma contro il loro governo. Ora sono dirigenti di un partito piccolo, nato dalla scissione di un gruppo che fa capo a
Louka Katseli,
l'ex ministro dell'economia di Papandreou, cacciata dal partito per le
sue posizioni sui memorandum, e amata dai greci per la legge
sull'impignorabilità della prima casa (che la Troika ha cercato più
volte di smantellare). Mi racconta il dramma sociale - a un certo punto
risponde al telefono: è una giovane siriana sua affittuaria, le abbassa
il canone da 80 euro per un monolocale in una delle vie del centro,
"dammi quello che riesci". E mi racconta con grande sapienza la bellezza
di queste elezioni. Perdo il conto di tutti i partiti, lui mi spiega
che "in Grecia ognuno ha il suo" - del resto, ci si può presentare alle
elezioni senza troppe difficoltà anche poche giorni prima del voto e con
poco si accede al finanziamento pubblico: l'hanno inventata loro, la
democrazia, e così sia.
Il loro partito ha un nome meraviglioso
Koinoniki Symfonia, che significa "patto sociale". Ma non si presentano
alle elezioni, hanno un patto di desistenza con Syriza. Ci portano al
pranzo elettorale che suggella l'accordo. C'è tutto il gotha di Syriza,
il segretario, la bella presidente dell'Attica (regione che da sola vale
mezza Grecia), a un certo punto arriva Varoufakis, che qui chiamano "il
texano" (insegna anche all'Università di Austin, Texas) e non sembra
più una star. Qui c'è aria di governo, facce serie nelle prime file.
Sfilano le correnti di questa coalizione, lo "zoccolo duro" della Syriza
di qualche anno fa, gli stessi che hanno negato alla Katseli un gruppo
di candidati forti nelle liste. Alla tavolata "della presidenza" parlano
fitto. "Ognuno di quelli là dice la sua, e spesso il contrario
dell'altro, e così anche in
televisione".
È un bel problema di Tsipras, e speriamo che non lo diventi per tutta
la Grecia. Ci sono diverse centinaia di persone, un buffet che neanche
per le elezioni regionali a Napoli o a Palermo.
Louka Katseli
è molto brava, e con Tsipras avrà sicuramente un ruolo di primo piano
nel governo economico del paese. Era l'economista e pasionaria del
Pasok, già assistente di Andrea Papandreou, l'amato padre di Giorgio a
cui più di qualcuno ora accosta Alexis Tsipras. Ha pure rappresentato il
Fmi da qualche parte, forse in Moldavia: si è sempre la Troika di
qualcuno... Ringrazia tutti con un rito della torta che si usa a inizio
d'anno, e pure noi. Ci dice che si aspetta molto dall'Italia, da Renzi.
Se lo aspetta al punto da dare importanza a qualche dichiarazione
d'amicizia dell'ultima direzione del Pd.
Chissà che effetto gli
avrà quando dall'Italia, anche ai massimi livelli politici, si
continuava a ripetere, come un esorcismo, come una bestemmia, che "noi
non siamo la Grecia". O quando ancora ieri, si parlava di Atene solo per
scongiurare il rischio di "contagio", come se fossero loro i veri
malati d'Europa.
Si saprà solo nelle prossime ore se,
per sciagurato paradosso, la Grecia sarà esclusa dall'atteso
Quantitative easing. Per noi, è ora di tornare. Un uomo elegante sui
quaranta ci saluta in italiano: "Noi ci proviamo, e voglia Dio che
questi qua sappiano fare qualcosa di buono. Ma è un gioco più grande di
noi, non tutto dipende da qui. Io con la crisi ho perso molto, quasi
tutto. Non sono ottimista. È difficile, come finirà?". Che dire? Siamo
già via quando apro un vecchio libro sul supplizio di un italiano a
Corfù...
E parendo imminente nuova e più profonda ruina, ad un Greco esclamante "Che resta?", risposi con fede "resta la Grecia".
Segui Giuseppe Provenzano su Twitter:
www.twitter.com/peppeprovenzano